Se ne riporta uno stralcio:
Stiamo forse assistendo ad una crescente voglia di esaltare la superficialità dopo aver puntato tutte le nostre carte sull’iperspecializzazione?
“La specializzazione in quanto tale ha portato a un distacco da una cultura generale solida. Se si pensa a medicina abbiamo una specializzazione sempre più spinta, mentre non c’è più una visione globale, quindi le persone vanno dallo stregone o a fare ginnastica giapponese perchè ritengoino che li si abbia una concezione globale del corpo e non segmentaria….”
Ci sono responsabilità delle università in questo?
“L’estremo simbolo di questo sono i corsi di laurea triennali. Quando io ho preso la laurea in Giurisprudenza ho fatto 18 esami obbligatori e tre facoltativi e c’era un solo corso di laurea. Adesso nel triennio ci sono tremiladuecento corsi di laurea, che sembrano tutti obbedienti all’idea di specializzare, invece sono sostanzialmente fabbriche di genericità. E non creano certo quella solida piattaforma culturale che 18 esami obbligatori e tre facoltativi del corso di laurea in giurisprudenza mi hanno dato. Poi c’è la moltiplicazione dei crediti poichè uno va tre mesi in Spagna a visitare la propria ragazza e ritorna con i crediti”.
Quale può essere la via d’uscita per la società e per i processi formativi e culturali?
“Bisogna assolutamente creare una piattaforma culturale solida. In questo le famiglie dimostrano di essere più avanti dello Stato, visto che spingono i ragazzi a iscriversi ai licei, che sono l’ultima tappa di una cultura di piattaforma, anzichè inseguire i mille corsi professionalizzanti. Occorre prendere spunto da questo processo spontaneo per puntare a una revisione dei corsi di laurea triennali, in modo che siano più legati a una logica di creazione di una piattaforma solida piuttosto che a una logica di immediata specializzazione. Va superato il mito che anche il triennio professionalizza, perchè in realtà parcheggia”.
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