Giusto abolire i voti con i numeri. Bisogna includere e motivare – Maria Angela Grassi, presidente della Associazione Nazionale Pedagogisti
Un primo segnale positivo ma servirebbe una riforma complessiva perché decisioni così importanti per il mondo della scuola non possono passare attraverso un emendamento. Questo è il giudizio di Maria Angela Grassi, presidente della Associazione Nazionale Pedagogisti, sulla scomparsa dei voti numerici per chi frequenta la primaria.
La novità sarà in vigore da settembre secondo quello che prevede un emendamento approvato dal Senato. Che ne pensa?
«È una notizia che mi coglie di sorpresa ma sono del tutto favorevole. Quest’anno compirò settant’anni, ho una lunga esperienza come pedagogista. A scuola si va per imparare e si dovrebbe essere incentivati ad andare in classe per il piacere e il desiderio di apprendere, non per il voto. Penso che bisognerebbe tornare a quello che sosteneva don Milani e cioè a una scuola che ci permetta di avere tutti le stesse opportunità».
Il contrario di quello che sta accadendo, soprattutto durante la quarantena.
«Esatto, non è la scuola in cui credo, quella per cui mi sono formata e per cui da anni sto svolgendo la mia attività».
L’emendamento quindi va nella direzione giusta?
«È un buon segnale, soprattutto in questa fase. Ma non si può modificare un elemento così importante da un punto di vista pedagogico attraverso un emendamento. Ci vuole una riforma organica e inserire i giudizi all’interno di una scuola pensata e realizzata in modo diverso, altrimenti perde il suo significato».
Che cosa non va nel voto?
«Influisce nel modo di percepire la scuola. Non accade molto nei bambini ma a partire dalla secondaria di primo grado. La scuola deve includere, deve trovare il modo per far andare avanti tutti. Non vuol dire promuovere tutti ma evitare che qualcuno resti indietro».
Il mondo dei sogni…
«Forse sì, ma è la scuola per cui lottare. Dove non trovano posto i test Invalsi ma c’è il tempo pieno. Non ci sono compiti perché tutto si svolge durante le ore di scuola e si riesce a far calare il tasso di abbandoni. In un progetto come questo i voti perdono significato. E andrebbe esteso a tutta la scuola dell’obbligo quindi almeno fino ai 16 anni. Meglio ancora se si innalza l’età dell’obbligo fino ai 18 anni e si offrono a tutti fino alla maggiore età gli stessi diritti all’istruzione. Da quel momento in poi si sceglie se andare a lavorare o continuare gli studi e anche i voti tornano a essere utili».
Testo integrale riportato dall’articolo pubblicato su La Stampa il 28/05/2020